Le suonavano uomini a cavallo che precedevano uno strano corteo di poliziotti,
pure a cavallo
Lirresistibile richiamo della Fanciulla del
Bruscello.
Dopo un anno dal terremoto, la vita cominciò
a riprendere normale ed io non ce la feci più a trattenermi in America.
Allora chiamai il Lucchesi e dopo avergli spiegato le cose, gli dissi che
gli avrei affidato la gestione della Fattoria per qualche tempo e me ne
andai.
Nel viaggio di ritorno il mio stato danimo era
ben diverso da quello dellandata. Intanto il fazzoletto da fagotti
lavevo sostituito con un bel baule pieno di cose pregiate ed inoltre...
mi portavo in catana un bel portafoglio colmo di dollari che mi dava tanta
sicurezza e tanta serenità. Poi questa volta, per andare alla stazione,
non dovetti scappare a gambe levate con la paura di essere riacciuffato come
a New York, ma fui accompagnato con un bel calesse dal Lucchesi del Roton,
che non finiva mai di promettermi tutto il suo impegno per gestire la Fattoria
nel migliore dei modi.
Nonostante queste belle premesse, il diavolo volle
metterci lo zampino e, nella traversata del Colorado, quando il treno dovette
rallentare a passo di lumaca per superare una delle tante ripide salite,
fummo assaliti dagli indios i quali saltarono sui vagoni di fondo, quelli
che trasportavano solo merce e per nostra fortuna, si limitarono a scaricare
solo quelli tirando giù dalla scarpata dogni ben di Dio.
Questo episodio mi fece capire il motivo per cui i treni avevano un locomotore
anche in coda. Era per evitare che gli assalitori staccassero i vagoni di
coda per lasciarli poi precipitare nel profondo dei dirupi e impossessarsi
così della merce che contenevano. Noi passeggeri sentimmo una lunga
sparatoria con fucili e pistole e penso che ci fu anche qualche morto fra
gli assalitori perché sentii anche grida di disperazione di uomini
che precipitavano lungo gli strapiombi rocciosi. Il treno però non
si fermò mai e continuò la sua corsa altalenante tra passo
di lumaca nelle salite e velocità folle nei tratti in discesa. Superato
questo triste episodio, per il resto tutto andò liscio
Quando arrivai al porto di New York trovai una signora
del mio paese che rientrava in Italia con la figlia di cinque o sei anni.
La individuai dallelenco dei passeggeri ma non la conoscevo poiché
era partita da Fagnano quando io ero piccolo. A metà della traversata
quella donna morì perché come seppi poi, anche lei come il
marito morto pochi giorni prima, era ammalata di tisi e la poveretta, consapevole
delle sue condizioni, si mise ad affrontare i rischi del viaggio per evitare
che dopo la sua morte, la bimba restasse in America da sola e fra gente
sconosciuta. Il Capitano si rivolse a me pregandomi di essere presente alla
cerimonia funebre che lui avrebbe celebrato in coperta allalba del
giorno successivo; poi mi disse che avrebbe ufficialmente affidato a me la
piccola Dalida perché io la consegnassi ai nonni in Italia. Allalba
mi presentai puntuale sul ponte della nave dove tutto era pronto per la cerimonia
che il Capitano officiò con devoto raccoglimento come se fosse stato
un prete. Al termine del rito, due marinai chiusero la salma in un sacco
e la calarono in mare poi il Capitano ci lanciò dei fiori di carta
che non so come si fosse procurati. Più tardi mi mandò a dire
che avrebbe gradito fare colazione con me e con la bimba che poi mi affidò
come può fare un buon padre e aggiunse che per ogni necessità
che fosse capitata durante il viaggio avrei potuto rivolgermi direttamente
a lui in ogni momento, anche di notte.
Dalida era una bambina simpaticissima e, dopo essere
riusciti a superare i primi momenti di grande imbarazzo dovuto sia a quello
che era successo sia alla mia completa impreparazione ad esercitare in modo
così inatteso la parte di padre, diventò per me una gioiosa
compagnia che contribuì molto a scacciarmi dalla testa i brutti pensieri
che ogni tanto comparivano insistenti.
Man mano che si avvicinava la data di sbarco a Genova,
mi sentivo sempre più preoccupato di come avrei trovato i miei genitori,
perché nei nove anni di mia permanenza in America le notizie che avevo
ricevuto erano scarsissime; non avevo mai visto una loro fotografia e riuscivo
a malapena a ricostruire le loro sembianze. Invece non avevo per niente
dimenticato il volto della fanciulla di Meati ma ora, dopo tutto questo tempo,
come lavrei trovata? Capivo che ormai era una donna nel fiore
delletà e quindi da marito. E se si fosse sposata?... Quando
mi arrovellavo in questi pensieri, anche la compagnia della piccola e gioiosa
Dalida non era sufficiente a farmi rasserenare.
San Francisco. Villette in stile Vittoriano, scampate allincendio
sviluppatosi dopo il terremoto del 1906. Sono in reed wood e oggi costano
un patrimonio.
Anche questi palazzi a schiera sono in stile Vittoriano, costruiti in
reed wood e scampati al fuoco sviluppatosi dopo il terremoto del
1906.
Come Dio volle, arrivai alla stazione ferroviaria
di Montuolo, dove lasciai il baule percorrendo poi a piedi il breve tratto
per arrivare a casa mia. Prima passai dai nonni di Dalida ai quali affidai
la bimba che non voleva staccarsi dal mio collo perché non capiva
una parola di italiano e non si fidava di loro perché non li conosceva,
poi mi diressi verso casa mia e prima di entrare in Corte, mi dovetti fermare
perché mi prese il tremito alle gambe. Per primo vidi il Sarto e senza
nemmeno salutarlo, gli chiesi: Dovè mi madre?
E lui mi rispose: E là al pozzo che lava i panni.
Allora percorsi gli ultimi cento metri con la velocità di un fulmine
e, prima che mia madre si fosse resa conto della mia presenza, le piombai
addosso e nellabbraccio la sollevai in alto come un fuscello di stoppa
gridando: Mamma!
In nove anni non era cambiata per nulla: mi sembrava
solo un po più bassa e cominciavano a comparire i primi capelli
bianchi, ma il suo sorriso continuava ad irradiare la bontà di sempre.
Come sei imbellito, mi disse, ma la moglie ce lhai?. Le
risposi di no e che ero venuto apposta per prenderne una dei miei posti e
portarla con me in America per qualche anno e poi rienrtrare definitivamente
in Italia.
Mio padre era a lavorare nei campi dove lo raggiunsi
appena mi fui staccato da mia madre e labbraccio fu ugualmente
affettuoso.
Il profumo delluva in fiore.
Salutati i genitori, i fratelli e gli amici, volli
subito avere notizie della fanciulla di Meati ma non conoscendo il suo nome
né quello dei suoi genitori, nessuno seppe darmi le notizie che desideravo
e allora piantai tutti in asso e menandai di corsa a Meati per cercare
di rintracciare almeno la casa dove ritenevo che abitasse. Lì incontrai
un giovanotto che non ricordavo di aver mai visto prima, il quale mi disse:
La figliola del mi sio muratore? Si chiama Emma, Emma
Baiocchi. Poi mi confermò che era ancora libera ma subito aggiunse
che quella sua cugina non voleva saper di marito; che aveva scartato tanti
buoni partiti e che aveva dato fiasco anche a lui. Poi, forse per giustificare
la figuretta che aveva fatto per il fiasco ricevuto, aggiunse che la su
cugina forse si comportava così perché aveva studiato troppi
anni dalle Suore di Vicopelago ed ora che aveva anche un lavoro sicuro come
sigaraia alla Manifattura Tabacchi di Lucca, aveva messo ancor più
superbia.
Dopo aver ascoltato con interesse tutte queste notizie,
gli feci presente che avevo assoluto bisogno di parlarci e lui mi disse che
sarebbe rientrata dal lavoro di lì a poco passando come sempre dalla
scorciatoia del pergolone. Dei minuti lunghi ne avevo già passato
tanti nella vita, ma come quelli forse mai.
Il viottolo sotto il pergolone era un luogo non troppo
appartato e al tempo stesso, abbastanza protetto dalla vista dei curiosi
e perciò mi sembrava adatto a quellincontro. Quindi non mi
allontanai da lì e non so dire quante volte lo percorsi in su e in
giù. Ad un tratto, ecco che mi apparve nella penombra, là in
fondo, la visione tanto desiderata! No, non potevo sbagliarmi...era molto
diversa dallimmagine dei miei ricordi, non più una fanciulla
ma una ragazza matura, nel pieno splendore della sua bellezza... No, non
mi ero sbagliato: era proprio lei! Alta di statura e snella, procedeva con
passo elegante tenendo al braccio destro un paniere ricoperto da un raffinato
tovagliolo a colori.
Man mano che ci avvicinavamo luno allaltra,
i miei passi si fecero lenti e ovattati e, giunto a breve distanza da lei,
mi fermai. Buona sera, le dissi, mi
riconosci?...Sì, rispose dolcemente. Ed io: Dopo
tanti anni sono rientrato dallAmerica per te: sei ancora
libera?...Sì, replicò. Aggiunsi:
Mhai aspettato tutto questo tempo?...Sì,
disse ancora. Ed io incalzai: Ma allora, quando eravamo al Bruscello,
avevi visto che ti guardavo? Con mia grande meraviglia, la risposta
fu ancora: Sì. Non potetti resistere e senza rendermene
conto, aggiunsi: Io sono rientrato perché ti vorrei sposare,
ma tu sei disposta a sposarmi? E lei, senza esitazione rispose ancora:
Si. A quel sì mi emozionai e capii che non
sarei riuscito a pronunciare altre parole. Allora mi venne spontaneo di allargare
le braccia; lei fece altrettanto e finimmo luno nelle braccia
dellaltra. Sarei rimasto in quellatteggiamento
uneternità e avrei voluto coprirla di baci ma lo evitai per
timore che eventuali sguardi indiscreti la esponessero al pericolo di
chissà quale lapidazione.
il viottolo
sotto il
pergolone
era un
luogo
non troppo appartato
e al tempo
stesso
il profumo che senti è quello delluva in fiore
Mi ritrassi dolcemente ed esclamai: Come
profumi! E lei, pronta, replicò: Non credo di profumare
perché torno dal lavoro; ho fatto quattro chilometri a piedi e sono
un po sudata: il profumo che senti è quello delluva in
fiore. Hai ragione, risposi, certamente cera anche prima
questo profumo ma lo sento solo ora per la tua presenza. Poi aggiunsi:
Non puoi immaginare da quanto tempo ho desiderato questo momento e
quanta gioia mi hanno procurato tutti i tuoi si; ora però
cè unultima cosa che debbo dirti: In tutti questi anni
io sono riuscito a mettere insieme, in America, una grande fattoria con tanti
operai e quindi appena sposati bisogna andare là almeno per qualche
anno. Ci vieni?... Con la stessa semplicità e fermezza rispose:
No. La saliva mi si fermò nella gola allaltezza
del pomo dAdamo e per qualche istante non riuscii a deglutire poi,
quando mi ripresi, aggiunsi sommessamente: Non è il caso di
prendercela troppo per questo. Ne riparleremo a suo tempo.
Ancora una volta mi capitava di assaporare una gioia
immensa e al tempo stesso di non poterla gustare in modo totale: quel
no fermo dopo tanti sì era per me una grossa
spina nel fianco. Dopo aver ripreso fiato, le chiesi: Quanti anni
hai? E lei: Ventuno. Mamma mia, le dissi, e io ventiquattro;
abbiamo proprio letà giusta per sposare ma forse siamo già
passatelli rispetto a tanti nostri amici. Poi di colpo mi ricordai del Bruscello
e aggiunsi: Ma allora quando ci si vide al Bruscello ne avevi appena
tredici?!... E subito pensasti che mi avresti sposato? Ancora una volta
e con molta decisione rispose: Sì. Eh, ma allora siamo
fidanzati da nove anni, esclamai, lo sapevi? Mi rispose: Io sì,
e te lo sapevi? Io no, risposi. Non osai trattenerla oltre e la lasciai
rientrare a casa dopo esserci trovati intesi sul come presentarci ai nostri
genitori.
Il matrimonio allamericana.
Nel febbraio dellanno successivo, appena fu
pronta la nostra casa, ci sposammo. Io volli fare le cose allamericana
ma anche il mio suocero non si fece canzonare. Al mattino presto del giorno
convenuto, assai prima dellalba cioè alle sei, arrivai in carrozza
sul piazzale della chiesa di Meati accompagnato dai miei genitori e dopo
pochi minuti arrivò la mia ragazza anche lei accompagnata soltanto
dai suoi genitori. Comera bella la mi Emma nellabito di
seta nera ornato di ricami e di bottoni preziosi. Qualche giorno prima ero
rimasto male quando venni a sapere casualmente che, per quellabito,
mio suocero aveva dovuto vendere un bel vitello, ma ora dovevo convenire
che ne valeva la pena. Salutando i suoceri li ringraziai per i tanti sacrifici
e, per il vestito, volli aggiungere che non ce ne sarebbe stato bisogno
perché Emma era bella così come lavevano fatta loro.
Mia suocera disse: Il vestito, Emma lha voluto per te e noi siamo
felici.
La cerimonia durò pochi minuti. Io mi rifiutai
di rispondere alle domande che il prete mi voleva fare sulla dottrina e gli
dissi che a quelle cose lì avevo già risposto da ragazzo. Lui,
prima scosse un po la testa ma poi convenne che avevo ragione e così,
dopo la benedizione e due firme, si corse con la carrozza a prendere il treno
a Montuolo. Eh sì, perché io volli fare anche il viaggio di
nozze e andammo addirittura a Firenze dove si rimase per una settimana in
uno dei migliori alberghi... allHotel Giappone!
Rientrato a casa, assaporai per qualche tempo la
felicità della vita in famiglia con la mi moglietta che mi dava
gioia su gioia. Cercava sempre di accontentarmi in tutto ma sulla decisione
di venire per qualche tempo con me in America era però irremovibile
e così, dopo qualche mese, dovetti decidere di tornare a San Francisco
da solo.
Di nuovo separato dalla donna del cuore
Questa volta la separazione la sentii non tanto dai
miei genitori quanto da lei e oltre tutto sapevo che la lasciavo in attesa
di un figlio.
Il viaggio presentò più o meno le stesse
difficoltà del precedente ma questa volta le affrontavo con uno stato
danimo assai diverso e quindi le superavo meglio. Ovviamente evitai
la quarantena poiché questa volta viaggiavo in classe privilegiata
e avevo tutte le carte in regola per essere considerato come un americano
che rientrava a casa sua.
Un giorno la lettera fu un po più pesante delle altre e capii
subito che conteneva una foto.