Arrivato in fattoria gli operai mi ricevettero con
grandi festeggiamenti e il Lucchesi si dette subito da fare a illustrarmi
i registri della contabilità, che aveva tenuto con gran precisione
e mi assicurò che lattività procedeva regolare e con
buoni risultati. Mi fece anche un garbato rimprovero perché la mia
assenza era stata più lunga del previsto ed io per giustificarmi gli
dissi: Tu sapessi che differenza cè fra il dormire in
quel pagliericcio su e il dormire invece nel letto di Fagnano con la mi
moglietta!...Ora poi, che aspetto un figlio, il restar qui sarà
anche più duro...
I giorni procedevano normali ma a differenza di prima,
spesso erano arricchiti dallarrivo di una bella letterina della moglie
che mi descriveva la sua gioia per avermi sposato. Un giorno la lettera fu
un po più pesante delle altre e capii subito che conteneva una
foto. Qualche mese prima era nata una bimba ed ora ecco la foto di mia moglie
che sorreggeva sul cantonale questo tesoro. Quanto avrei voluto abbracciare
quel cucciolotto e coprirlo di baci ma, non potendolo fare, esposi la foto
in un punto dove potessero vederla i miei operai e fu di nuovo gran
festa.
Gli anni successivi corsero velocemente e senza grosse
novità riguardo al lavoro della Fattoria che procedeva con andamento
ondulante ma con risultati sempre ottimi. Negli anni di crisi, seminavo più
patate e negli anni migliori incrementavo la produzione degli asparagi.
Il richiamo alle armi per difendere la Madre Patria.
Nei primi mesi del 1915 ricevetti un invito a presentarmi
al Consolato italiano di San Francisco e, ignaro di cosa potessero volere
da me, mi affrettai a presentarmi. La feci pulita! Si trattava del mio richiamo
alle armi e il Console mi spedì direttamente in Italia senza consentirmi
nemmeno di passare dalla Fattoria. Lo pregai insistentemente descrivendogli
la mia situazione ma non ci fu verso di convincerlo e mi fece accompagnare
al treno da due poliziotti americani. Ero disperato e, non sapendo con chi
sfogarmi, quando il Console mi salutò, io gli risposi quasi gridandogli
in faccia: Addio pelataccio!
Durante il viaggio di ritorno avrei potuto anche scappare,
ma respinsi subito questo pensiero perché sarei diventato renitente
e avrei dovuto pagare la libertà a caro prezzo cioè avrei dovuto
rinunciare alla cittadinanza italiana col conseguente abbandono della famiglia
e di tutti i miei interessi in Italia, se non per sempre almeno per molti
anni! Man mano che mi avvicinavo allItalia mintristivo sempre
più e ripensando alle parole del Console che aveva parlato di Madre
Patria, ripetevo fra me: Ma che Madre!....Quella è una
matrigna!
Arrivato a Genova, mentre sbarcavo dal bastimento,
sentii chiamare diversi nomi e fra questi anche il mio. Eravamo una ventina
e ci portarono al Distretto militare. Lì, un graduato in divisa ci
disse che mentre noi eravamo in viaggio, era scoppiata la guerra e quindi
dovevamo andare al fronte. Ma come al fronte, esclamai, se non ho mai
visto neanche un fucile! E lui: Tu sei quello che ha chiamato
pelataccio il Console di San Francesco? Risposi di sì e lui
aggiunse: Tu vai con quei quattro a Castagnavizza, sul fronte fra la
Jugoslavia e lAustria.
Bersagliere sul fronte a Castagnavizza
Con queste poche parole, ci spedirono tutti al fronte
arruolandoci senza farci visitare da un medico per accertare la nostra
idoneità fisica e senza preoccuparsi del fatto che nessuno di noi
aveva mai visto un fucile o unarma militare.
Tra le tante sventure, avevo il privilegio di trovarmi
arruolato nella prestigiosa Arma dei Bersaglieri. Ma al fronte non ci sono
privilegi e la vita in trincea era un inferno per tutti. Passavamo giorni
e giorni chinati nel fango a scavare lunghe trincee e quando terminavano
gli assalti, spesso alla baionetta, si faceva presto a contare i pochi
sopravvissuti. Quasi sempre erano i più giovani a morire ma, in quelle
condizioni, anche il sopravvivere non poteva esser considerato un
privilegio.
La casa di Agostino e la chiesa di Fagnano.
(Pitture ad olio su tela eseguite dallIng. Michele Bortoli quando
era studente liceale)
La licenza premio.
Un giorno un telegrafista portò al Comandante
un messaggio per me. Mi era stata assegnata una licenza premio di tre giorni
più il viaggio. Questo sì che è un privilegio, pensai,
e mi detti subito da fare per studiare il modo di potermi allontanare dal
punto di prima linea senza essere falciato dagli austriaci.
Lungo il viaggio in treno, cercavo di scacciare dalla
mente i brutti ricordi della trincea ma non potevo fare a meno di pensare
che il trascorrere di ogni ora non faceva altro che avvicinare il momento
in cui sarei dovuto rientrare in quellinferno.
Con grande sforzo riuscii a concentrare i miei pensieri
sul fatto che a casa avrei rivisto dopo tanti anni i miei cari e soprattutto
avrei potuto abbracciare per la prima volta mia figlia Diva, il mio tesoro
che aveva già cinque anni e che io avevo visto solo nella foto che
ricevetti in America.
Il primo abbraccio alla piccola Diva.
Arrivai al mio paese verso lora di cena e mi
fermai nelle vicinanze di casa pregando una conoscente di andare dai miei
ad avvisarli del mio arrivo e soprattutto per chiedere a mia moglie di preparare
la bimba allincontro col suo papà. In men che non si dica
furono in tanti a corrermi incontro, ma io vidi solo una Bambola sgambettante
che mi tendeva le braccia gridando: Papà, papà!
e me la strinsi al petto per non so quanto tempo. Cenammo con la casa piena
di gente che voleva avere notizie del fronte e molti mi chiedevano se avevo
visto i suoi cari. Dissi loro: purtroppo non so nulla di nulla perché
dove ero io non cerano toscani e poi, davanti allo sgomento di quelle
persone, non ebbi il coraggio di raccontare la mia spaventosa esperienza
e li pregai di non preoccuparsi perché, dissi: Al fronte la
guerra non si fa mica tutti i giorni... Era una grossa balla, ma non
sapevo proprio che cosa dire...
Appena restammo soli, mia moglie si affrettò
a spiegarmi che per la licenza, si era interessato mio fratello Aniceto il
quale, appartenendo ad una fascia di età superiore alla mia, anziché
al fronte era stato mandato a lavorare a Genova presso lAnsaldo, una
fabbrica di aeroplani dove era molto apprezzato per la sua bravura e il Direttore
gli aveva promesso di assumere anche me. Per tutta risposta io dissi a mia
moglie. E te mi vorresti dà ad intende che al termine della
licenza io mi posso presentà a Genova anziché al fronte?
Mia moglie riuscì a rassicurarmi ed io, superata la confusione che
avevo in testa, mi misi a giocare con la mi figliola, cercando di prenderci
un po di confidenza.
Arrivata lora di andare a letto, la bimba mi
mostrò la sua cameretta e poi mi portò a vedere la mia cioè,
si corresse, quella di mamma dove puoi stare anche te. Sembrava che tutto
corresse liscio ed io mi complimentai con mia moglie per come laveva
preparata bene allincontro col papa. Infatti era andato tutto liscio
e dopo un po sembrava anche che si fosse addormentata tranquillamente
ma, dopo unaltra mezzoretta, quando finalmente soli volevo fare
du moine alla mi moglie, sentimmo sbattere calci e pugni nel
paravento di camera e la Bimba che gridava: O mamma, o mamma, mandalo
via quellomaccio lì...
Povera piccina, pensai. Quanto avrà pesato
su di te lemigrazione! E su tanti altri bambini rimasti soli come te!
E su tutte quelle mamme che come mia moglie rimanevano sole per anni e anni
in trepidante attesa?! Apersi il paravento e con le lacrime agli occhi la
presi in collo dicendole: Vieni, tesoro, vieni con noi, io non sono
un omaccio, sono il tuo papà e non vorrei mai staccarmi da
te.
A casa trovai anche una lunga lettera del Lucchesi
il quale mi spiegava che, non vedendomi rientrare in Fattoria, si era precipitato
al Consolato dove seppe quel che mi era successo e quindi rientrato in Fattoria,
aveva inventato agli operai che io gli avevo dato di nuovo la delega e che
sarebbe stato nuovamente lui a gestire lAzienda in mia assenza. Questa
notizia era una delle poche che mi dava sollievo.
Mi trattenni in famiglia solo due giorni dopo di che
mi precipitai a Genova per abbracciare mio fratello ma soprattutto per sapere
che sorte mi sarebbe toccata. Seppi così che mio fratello Aniceto
si era dato da fare fino allinverosimile per salvarmi dal fronte ed
era riuscito veramente ad ottenere dal suo Direttore un posto anche per me
nella fabbrica dellAnsaldo, reparto S.V.A. dove si facevano aeroplani
da guerra, costruiti quasi completamente in legno. Io non sapevo di essere
un esperto falegname ma mio fratello assicurò il Direttore che lo
ero e poi mi sussurrò allorecchio: Stai tranquillo, io
ti aiuterò. Dal momento dellabbraccio del mi fratello
a quello del colloquio col Direttore con la firma della lettera di assunzione,
fu tutto un sogno ad occhi aperti e ci volle un bel po di tempo per
assuefarmi allidea che tutto questo era vero e che pertanto non sarei
più tornato in trincea.
Dopo aver ritrovato un po di serenità
ricominciai a vedere il mondo e le cose del mondo in modo assai diverso da
quando ero al fronte, ossia, ricominciai a vederle in modo normale. Ripensai
prima di tutto allincontro con la mia famiglia, con mia moglie e con
la bimba... Non me li ero goduti per nulla perché ero preso da troppe
preoccupazioni e non ero stato in grado di gioire e di apprezzare quella
vicinanza che finalmente avevo avuto con loro. Ero braccato dal pensiero
che di lì a pochi giorni sarei morto infilzato da una baionetta austriaca
e ad ogni sguardo di mia moglie e degli altri familiari, mi veniva fatto
di voltarmi dalla parte opposta per maledire quel pelataccio
e la matrigna patria che mi stavano strappando di mano quel futuro
che mi ero conquistato affrontando una vita già dura di per sè
e una posizione che, oltre tutto, mi ero guadagnata arrampicandomi da solo,
con le unghie e con i denti in sentieri non certo facili. Ora che ero un
po più sereno, dovevo scrivere tutto questo a mia moglie e scusarmi
per essermi presentato a lei in uno stato di prostrazione da cane
bastonato.
Il Direttore dello stabilimento era un Ingegnere esigente
ma anche molto buono e, informato da mio fratello della mia situazione, fu
assai comprensivo e ogni tanto mi accordava qualche breve permesso da trascorrere
in famiglia e così provai finalmente anche la gioia di avere
unaltra figlia che nacque nel Settembre del 1916.
Il proclama della Vittoria
Il 4 Novembre del 1918, tutti i cantieri; tutte le
fabbriche e tutte le navi alla fonda nel porto di Genova, fecero suonare
improvvisamente le loro sirene e contemporaneamente squillarono le campane
di tutte le chiese della città. La gente si riversò nelle strade
e nelle piazze cantando inni di vittoria; i balconi dei palazzi, gli alberi
delle navi e le gru del porto, si ornarono di bandiere e di striscioni tricolori:
la guerra era finita!
Tutti impazzivano di gioia e io persi addirittura
la testa. Appena mi fui convinto che tutto quello che vivevo in quel momento
era realtà, abbracciai mio fratello e gli dissi: Te pensa a
tutto qui a Genova, saluta e ringrazia il Direttore e io scappo a casa.
Mio fratello cercò di dirmi: Ma che fai, sei impazzito? Vieni
qua, ragiona... Ma io mi ero già allontanato di corsa verso
il primo treno per Lucca, senza nemmeno passare di camera a cambiarmi il
vestito.
Il rientro in famiglia
Labbraccio con mia moglie mi procurò
una gioia come non avevo mai provato. Finalmente tutto si era risolto e,
grazie a mio fratello, ero uscito dalla guerra vivo! Ci restava da risolvere
lultimo, proprio lultimo grosso problema della mia vita e cioè
quello di convincere mia moglie a venire in America per stabilirsi là
con me in modo da completare laggiù la nostra famiglia e poterci godere
i figli in un clima di serenità, di pace e, diciamo pure anche di
maggiore agiatezza rispetto al tenore di vita che si poteva vivevere qui
in Italia dopo una guerra così dura.
Affrontai questo argomento con mia moglie a piccole
dosi: prima con qualche accenno, poi con qualche discorso un po più
lungo, poi con progetti sempre più concreti e sempre più insistenti
finché un giorno che proprio non ne potevo più, le dissi con
fermezza: Senti Baiocca (Ogni tanto la chiamavo con questo vezzeggiativo
derivato dal suo cognome, Baiocchi), o vieni con me in America, o parto da
solo e non so quel che succederà. Credevo di averla spaventata ma
lei con la massima serenità mi rispose: Te, Gustino calmati
un po e vedrai che poi ragioni meglio. Noi qui ci abbiamo già
una bella casa e io ho un lavoro sicuro. Abbiamo già due belle bimbine
e abbiamo tutto il tempo per fare anche qualche maschio: mi dici che vuoi
di più?...Non ti fidi dellItalia?...Ma le guerre non le faranno
mica tutti i giorni?!
Io lo sapevo che con la mi moglie non cera
da discuterci su questo argomento e allora pensai che lunica cosa da
fare era quella di andare subito a controllare la situazione in Fattoria
e decidere laggiù sul da farsi.
Di nuovo a San Francisco
Arrivato in Fattoria, trovai che il Lucchesi, come
al solito, si era comportato in modo encomiabile e subito dopo il cenone
con tutti gli operai, per i festeggiamenti di accoglienza, mi mostrò
i registri contabili degli ultimi tre anni e disse: Queste sono le
entrate, queste sono le uscite e questi sono gli utili, che sono tuoi.
Io mi sentii in dovere di correggerlo per dirgli: Queste sono le entrate,
queste sono le uscite e sta bene, ma gli utili spettano a te perché
mi hai salvato lAzienda. E incredibile, ma dovetti bisticciare
per convincerlo ad accettarli. Quelli sono amici!
Nei mesi che seguirono mi resi conto che il tenore
di vita a San Francisco aveva fatto progressi e tutti si erano arricchiti.
Anche lattività della mia azienda era migliorata molto rispetto
a quella già buona di quando lavevo lasciata e mi mordevo le
dita al pensiero che non ero riusito a portarmi dietro la mi Baiocca.
Intanto avevo sparso cautamente la voce che, dovendo rientrare in Italia,
ero disposto a vendere la Fattoria.
La tentazione
Ricevetti alcune offerte e tra le varie persone che
vennero a vederla, si presentò anche la Genovese, una
ragazza nata in America da genovesi emigrati tanti anni prima e che io ben
conoscevo perché mi aveva insidiato più volte quando ero
giovanotto.
Era proprietaria della Fattoria che si trovava
nellisola vicina alla mia, unisola collinare coltivata quasi
esclusivamente a vigna. Mi disse che prima di trattare, sarebbe stato bene
che fossi andato ad assaggiare il suo vino.
Io incautamente accettai ma subito mi resi conto che,
nuovamente, mirava a ben altro e per lei il fatto che fossi sposato e con
figli, non contava un bel nulla. A ripensarci bene ora con calma, devo ammettere
che la tentazione fu forte, quasi irresistibile,perché lidea
di unire due aziende così importanti non sarebbe stata da scartare
in quanto mi avrebbe consentito di vivere in America una vita agiata...
LAmore per la su Baiocca.
...ma io ero troppo innamorato della mi Baiocca
e perciò non ebbi né dubbi né tentennamenti. Tornai
a gambe levate in fattoria e rivelai il tutto allamico Lucchesi il
quale mi disse che si era reso conto benissimo di ciò che mi stava
succedendo e che restava trepidante in attesa delle mie decisioni. Lo rassicurai
dicendogli che io la decisione lavevo già presa; che avevo fatto
tutta quella pantomima per cercar di capire il valore della mia Azienda
e che però sentivo anche il dovere di cederla soltanto a lui, ad un
prezzo giusto e mi dichiarai disposto a venirgli incontro per il pagamento,
così come aveva fatto con me il Carrarino in analoga
circostanza.
Concluso laffare, salutai gli operai abbracciandoli
uno ad uno e, arrivato sul treno, il Lucchesi ed io continuammo a salutarci
agitando la mano finché fu possibile vederci. Poi mi accasciai sul
sedile con la testa fra le braccia e, ancora una volta, cominciai a
singhiozzare.
La favola americana era finita!
Ë
Una delle strade
di San Francisco
ai tempi nostri.
Il ponte è il Bay-bridge,
costruito nelle vicinanze
del punto dove
mio padre
traversava ogni
giorno la baia
col gasolino per
portare le verdure
da Oakland al
mercato.
È lungo circa 7 Km.
E in Italia?
In Italia mio padre visse con la su Baiocca
una vita certamente non facile specialmente nel periodo della seconda guerra
mondiale dal 1940 al 45, ma sempre costellata di bellissimi momenti,
di grande serenità e di gioia. Ebbe altri tre figli fra i quali
lultimo, il sottoscritto, il tanto sospirato maschio.
Ci aiutò sempre tutti ed era sempre lui a prevedere
le nostre esigenze anche sotto laspetto finanziario ma soprattutto,
sia lui che la su Baiocca, furono e non solo per noi, dei grandi maestri
di vita.
Avevano caratteri completamente diversi, si direbbe
incompatibili, ma i loro litigi erano sempre divertenti come le farse dei
teatrini di paese.
Si amarono intensamente e ininterrottamente e
festeggiarono gli anniversari del loro matrimonio fino al
cinquantottesimo!
Per rievocare la loro memoria, così come si
fa con i personaggi più illustri, noi cinque figli volemmo celebrare
in una festicciola intima, il centesimo anniversario della loro nascita e
per la circostanza, io scrissi alcuni racconti di scene familiari e scelsi
il vernacolo lucchese poiché ritenni che quella cornice fosse la più
adatta a mettere in evidenza la loro personalità e il loro stile,
che era rimasto quello della loro epoca, ben conservato fresco e
intatto.
Nel leggere quei racconti ci facemmo delle solenni
risate e ne riporto qui alcuni, nella speranza che chi ci si imbatte possa
fare altrettanto.
Me lo auguro anche perché i nostri genitori,
nella loro lunga vita, dispensarono a tutti sempre e soltanto gioia.
- o O o -
Raccolsi quello scherzo in un fascicoletto che presentai con la seguente riflessione:
Non è facile sognare ad occhi aperti,
talvolta è addirittura impossibile!
E più facile frugare nei ricordi,
e perchè no,
riviverli
affiancandoci ai personaggi più cari
della nostra infanzia,
magari
ai nostri familiari...
Io provo a rivivere i
Riordi di asa mia
nel centenario della nascita dei miei genitori.
Se vi capitasse di leggerli, ricordate:
Omnia munda mundis:
Divo
n.b.
Ogni riferimento a persone o fatti
è puramente casuale.
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